Come stai?

Come stai?

Un giorno ho incontrato il giorno dopo, la musica quel giorno era diversa, sconosciuta, ma non avevo nessuna intenzione di assimilarla, quel giorno quell’incontro mi ha messo in difficoltà, minando tutte le mie certezze future. E mentre controllavo e ricontrollavo le certezze future minate dal giorno dopo, incontrato quel giorno, mi son reso conto che era proprio in quel giorno che le mie certezze erano confuse, ma allora era, forse, probabilmente, una confusione che valeva per entrambi i giorni.
Cercando di resettare il mio qui ed il mio ora, salutai il mio incontro, rimandandolo cortesemente all’indomani, con una scusa semplice e poco velata, una di quelle scuse tanto banali da essere tanto valida quanto ridicola, non la ricordo nemmeno, nessuno ricorda, purtroppo, le sue scuse, siamo troppo abituati a scusarci solo per evitare, tutto l’evitabile. Girando l’angolo di quel giorno, subito dopo essermi scusato, mi son ritrovato nello stesso punto di prima, e in quello stesso punto ho incontrato il giorno dopo, come se fosse il mio insolito giorno della marmotta, solamente una cosa cambiava, la musica.
Durante il brevissimo incontro di quel giorno col giorno dopo ricordo perfettamente che la musica era martellante ma dolce, costante ma melodica, e quasi minacciava di non voler mai finire, mentre adesso, durante il secondo incontro, era soave, quasi impercettibile, e i miei sforzi, e solo quelli, riuscivano a non farla terminare, allora senza nemmeno cercare una scusa ho liquidato anche e di nuovo quel giorno, andando via.
Camminando in quel surreale presente sentii il telefono squillare, con la melodia martellante del giorno prima, guardando il display e leggendo il mittente di quella telefonata risposi senza perdere un solo istante, era il giorno dopo che mi chiamava, al mio: -Pronto- il giorno dopo mi fece una domanda, e riattaccò. Non trovai la risposta alla sua domanda, ero frastornato, stava succedendo tutto così in fretta in quel giorno, che non riuscivo a collocare una risposta al posto giusto, anche se la sua domanda, molto semplice, aspettava una risposta, ma la risposta la dovevo a me, e nessun’altro.
Quando ci chiedono semplicemente ‘Come stai?’ e ci mettono davanti a due giorni differenti, con due musiche differenti, mentre siamo in lotta col tempo, mentre non ci rendiamo conto del tempo che perdiamo semplicemente non passandolo, allora la risposta più automatica che riusciamo a dare è sempre, ‘Bene’, e quella risposta evidenzia la fragilità stessa che si ha quando viene detta così automaticamente, in parte la risposta è quella perché non abbiamo nessuna intenzione di condividere con nessuno uno stato così intimo, sia che si stia male sia che si stia bene, in parte è un modo per non ripercorrere nello stesso tempo in cui si risponde diversamente il motivo della risposta, in quel caso assolutamente negativa.
Comunque senza fermarmi ho ripreso in mano il telefono, ho composto il mio numero, guardando la foto che ho del mio profilo telefonico, ho fatto una leggera pressione sul tasto di chiamata, ho portato il telefono all’orecchio, e mi son risposto, anche da occupato, non stavo bene, ma cercavo, come sempre di stare meglio, e solo in quel momento, con il telefono che dava il segnale di occupato, mi son reso conto che con lo stare meno bene bisogna convivere, rassegnandosi, per incontrare il giorno dopo se stessi e vedersi stare meglio del giorno prima.
E sorridersi.

Cesare
15 Giugno 2016

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