L’ascensore

L’ascensore

L’ho conosciuta in ascensore, un ascensore asettico, luminosissimo e veloce, ma non quel giorno, lei mi ha guardato nell’attimo in cui le sue carrucole hanno iniziato a sollevare la nostra cabina, i nostri occhi si sono incrociati, per un istante ci siamo fissati, senza nemmeno un sorriso. Ci eravamo salutati educatamente con un cenno senza voce prima di entrare in ascensore, prima lei mi pare controllasse il suo telefono ed io ero, come sempre, attento alla piega della giacca rigorosamente abbottonata e alla simmetria della cravatta all’interno della ‘V’. Gli uffici erano dal settantesimo piano in su ed io, visto che io dovevo andare al settantesimo non le ho nemmeno chiesto a che piano stesse andando, ho digitato il settanta nella tastiera e premuto invio.

Quell’istante degli occhi negli occhi sembrava infinito ma la sua smorfia lo ha interrotto, io credo di aver strabuzzato gli occhi e lei ha spostato lo sguardo sulla pulsantiera alle mie spalle, roteo la testa cercando di rimanere impettito e vedo il motivo della sua smorfia; una zanzara, grande, che in quel candore asettico stonava, la mia smorfia credo sia stata identica alla sua.

‘Perbacco!’ Ho detto, mai espressione fu di tanto d’effetto, lei ha riso indietreggiando come se la risata potesse scatenare una reazione nella zanzara, allora ho cercato da ‘uomo di casa’ una soluzione, mentre lei indietreggiava i suoi capelli neri a caschetto si sono mossi uniformemente come la gonna di una dama durante l’inchino al Re, ma dovevo pensare alla zanzara!

Era davvero grande, allora io, caricata la voce di certezze, le ho detto che non dovevamo preoccuparci che potesse pungerci, era sicuramente un maschio e, si sa, sono le femmine che pungono. Quando ho detto la parola ‘femmine’ lei si è irrigidita e la zanzara ha iniziato a muoversi, il sinuoso linguaggio del corpo dell’inquilina di ascensore in un istante è cambiato, ‘Maledizione’, ho pensato; termine sbagliato nel momento sbagliato, ma come posso considerare una zanzara al femminile? Donna del zanzaro? Fidanzata del suo maschio? No, peggio ancora, imbambolato guardavo lei, ora immobile, e la zanzara, o la zanzara maschio, che si muoveva tra la pulsantiera e saliva verso il display luminoso dei piani, eravamo appena al decimo.

‘Vuole che la ammazzi?’ dico; altro irrigidimento, ‘Cazzo’ ho pensato, probabilmente è un animalista e la catena alimentare delle zanzare è più importante delle nostre due miserabili vite.

Mi soffermo sulle sue labbra, ben delineate e non eccessivamente sottili, anzi, direi perfette, nessun movimento, non riesco a salire più su, le labbra mi bloccano, nella nebbia della mia visuale dove a fuoco ci sono solo le labbra scorgo il suo battito di ciglia, non lo voglio nemmeno interpretare, sto facendo errori su errori, mi giro di scatto deciso a risolvere il problema della convivenza a tre, immagino di svenire per un malore e risvegliarmi al settantesimo piano con lei che mi tiene la testa sulle sue gambe mentre mi accarezza preoccupata, magari posso anche simulare la mancanza di respiro, chissà che sapore hanno le sue labbra, sempre che sappia fare la respirazione bocca a bocca.

Non trovo istintive soluzioni e lei con il suo silenzio non mi aiuta.

‘Maledizione’ sembrava un bel viaggio quel giorno, una donna bellissima e un ascensore, io e lei, invece c’era la zanzara, scelgo di prendere il telefono e cercare le immagini della zanzara e le dico che non sembra una zanzara tigre, si sa, quelle pungono anche la mattina e sono striate, mi rendo conto in quel momento di non avere mai visto un maschio di zanzara tigre e lo dico ad alta voce scatenando la sua risata per la seconda volta. Che idiota sono! Magari ride perché mi considera tale, magari divertita e attratta da me almeno quanto lei è attraente per me.

Metto il telefono in tasca senza proseguire e la guardo ridere, le sorrido, lei abbassa gli occhi ma non la testa, come a chiedere scusa per quella risata male interpretata, ma non dice ancora nulla, si sta divertendo alle mie spalle, o forse si sta divertendo con me, che è ben diverso.

Ventesimo piano. Piano, ma mentre prima piano voleva dire imbarazzo adesso sembra essere diventato un vantaggio, ho ancora cinquanta piani per capire, cercare di diventare interessante tanto da poterla rivedere, faccio la mia mossa, mi presento, dico il mio nome ma, come prevede il galateo non allungo la mano; lei mi guarda ma resta immobile mentre io aspetto il suo nome, ora non ha nessuna espressione, penso che il galateo dovrebbero bruciarlo o farlo studiare a tutti da piccoli, probabilmente lei non sa che deve essere la donna che, se gradisce, allunga la sua mano, mai l’uomo.

Rido imbarazzato, ed emetto un suono con la bocca aperta, cercavo di dirle questa storia del galateo ma incastro letteralmente la lingua nel cervello, palesemente interdetto. E non mi aiuta il suo grido, che rimbomba in ascensore, le mie orecchie lo patiscono, le pareti metalliche e lisce lo hanno amplificato ed io ho dovuto mettere le mani per tapparle, riuscendo a malapena a scorgere il terrore nei suoi occhi che continuavano a seguivano qualcosa.

La zanzara! Che infatti camminava più sulla tastiera, ora volava, lei era bellissima anche mentre urlando si è buttata in terra, io ho provato a levare le mani dalle orecchie ma quel suo sgradevole stridio era insopportabile, immaginavo timpani lacerati e un esistenza senza più rumori, mi guardava terrorizzata senza però levare gli occhi dalla zanzara, trascinandosi nell’angolo dell’ascensore e coprendosi il volto lasciando solo gli occhi a gestire il suo terrore, in quel momento con le sue mani davanti alla bocca che hanno attutito quel lacerante fastidio levo finalmente le mie dalle orecchie, guardo nella sua stessa direzione e vedo la zanzara.

Con la mano provo a colpirla, cercando di stordirla e non di ammazzarla, non sia mai che in futuro la splendida ragazza mi vedesse come un assassino, ma rendendomi conto che stavo realmente cercando di prende a schiaffi una zanzara maschio molto grande mi fermo, trentesimo piano, mi metto tra la zanzara e la donna, protettivo.

La zanzara, spostata dal vento della mia mano, perde quota e si ferma in terra, lontana da me e ancora più da lei, aspetto qualche istante e una volta accertato della sua staticità mi giro, porgo le mani alla ragazza, o signora, o donna, bellissima comunque, per aiutarla a rialzarsi.

Lei mi guarda, lentamente mi porge le mani, avrà massimo trenta anni, portati benissimo, leggera sale e una volta in piedi davanti a me, vicinissima, mi ringrazia ma mi supera subito con lo sguardo cercando, sul pavimento della scatola che sale, la zanzara.

Mi abbraccia, almeno sembrava, ma in realtà mi spinge verso la tastiera, si fa scudo con me, mi gira e mi lascia tra lei e la zanzara, digita il quaranta sul tastierino e preme invio, trentotto, trentanove, l’ascensore si ferma e lei scappa via velocemente oltre le portiere sibilanti, io resto immobile con la zanzara che sembra guardarmi e darmi del cretino, allora faccio un movimento verso l’uscita ma le portiere iniziano a chiudersi, lei mi guarda, è in salvo, mi sorride dolcemente e mi ringrazia abbassando leggermente la testa, nell’ultimo spiraglio di luce lasciata dalle portiere dell’ascensore la vedo allungare la mano verso un altro ascensore, mi rassegno.

Al settantesimo piano si aprono le portiere, faccio un passo verso l’uscita, la vedo, la zanzara è immobile, faccio un passetto e mi avvicino, ancora immobile, un altro passetto, alzo il piede e la stampo sulla suola, mi sposto e guardo, non c’è sangue, ‘Lo sapevo! Era un maschio e i maschi non pungono’!

Uscendo ripenso a quell’esclamazione e considero; ‘Sono un maschio, non pungo.’ Mi giro a guardare il display degli altri tre ascensori, uno solo stava salendo, sessantotto, sessantanove, settanta, aspetto e spero che si fermi e che esca lei, bellissima.

Settantuno, settantadue, no, non pungo.

Cesare

8 Ottobre 2020

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