Targhe

Targhe

Dentro la Fiat 127 blu simulavo curve e accelerazioni,
posteggi e incidenti, ne ricordo tre, due di mamma e uno mio, due con ragione e
uno contorto, spiegabile solo da pochi. Adoravo quella macchina, 903 di
cilindrata, SS 96172 di targa, e una sequenza temporale che mi ha trasportato
con quel cambio a 4 marce fino ad oggi. L’ho persa senza salutarla quando ero
via e viaggiavo ancora con treni navi e aerei tra camera mia e le camerate,
quei viaggi infiniti che non son terminati nemmeno quando io, piccolo, sono
riuscito a stare in una macchina grande, mia, dove si sentiva l’eco e dove la
ruggine bruciava carrozzeria e tempo.

In una sequenza di accelerazioni, decise anche se pavide, in
una sicurezza cosciente anche se in una generale incoscienza, la Fiat 124 bianca
mi aiutava a fare l’amore, in un amore che non sapevo ancora cosa fosse, e che
ho lasciato scivolare tra le dita, dita di una mano che teneva  anima e cuore lontano da traghetti, navi,
aerei, la maledizione della sofferenza a distanza che si interromperà solo dopo
mari di lacrime mai piante, di un trentennio utile solo alla ricerca di una
calma che mai arriverà.

Il rumore metallico di portiera, Lui dentro quella Fiat 128
verde ci stava davvero bene, anacronistico ma giustificato, lui stesso era
grande ancora prima di tutti, e gridava versetti satanici contro qualunque ingiustizia
nel mondo, del mondo, sperando che ogni decibel servisse per migliorare le
cose, ho guidato quella macchina, e ho imparato la dentro come ci si comporta
nella vita, ridendo seriamente e scherzando violentemente. La 128 senza numero
massimo di giri, come se fosse una bat mobile, con dentro due super errori che
vagavano per le rare strade della Sardegna e per una città ancora più deserta, una
targa piena per sempre da una grande voglia di ridere di gusto.

Una Fiat 131 celeste, con un motore così piccolo in un
cofano enorme, nuovo traghetto tra nord e sud, il cui Caronte insofferente
dimostrava a se stesso di poter vincere ogni gente, ogni mondo, ogni battaglia,
e lo dimostrava perdendole, come chi non ha mai copiato in vita sua per evitare
l’onta di essere scoperto. La 131 1300 cc benzina era tanto perfetta dentro
quanto inutile fuori, e la salsedine del garage della mia vita riuscì a darle
il colpo di grazia, ma non senza aver provato a pagaiare  sotto un ponte in un diluvio, la meccanica e
la fiducia sono cose ben distinte. Ringrazio sempre i miei passeggeri, che
riuscendo a dormire serenamente in ogni strada, in ogni bottiglia, in ogni
tirata, ma anche lucidi, mi hanno regalato la certezza di essere un autista
degno di smodata fiducia.  SS 147415

Una Fiat 131 carta da zucchero targata SS 293335 a dispetto
della sua ex targa spezzina, un’altra simile ma più adeguata, un diesel quando
i diesel servivano per risparmiare, 2000 cc di serena meccanica perfetta dentro
e con una carrozzeria curata, mezzo costante che mi trasporta oltre un congedo
scritto, ma non da entrambe le parti, carrozzone di mille conseguenze giovanili,
alcova di indifferenti relazioni giovanili, teatro di mille rappresentazioni di
amicizie con atti unici e finali, dietro le quinte di una vita senza
regolamenti ma con regole ben chiare ad ogni rifornimento, ad ogni cambio
gomme. Caduta nell’oblio dell’indifferenza, distratta manutenzione ormai teorica
e inutile, la cinghia di distribuzione si separa e trascina con lo stesso
clangore, che è la mia vita da sempre, giù nel baratro la macchina più guidata,
più creativa, più sicura.

In un’improbabile macchia rossa con la capote, quella Diane
6 dondolava cigolando in una città fatta di colline e percorsi ben noti, senza
consumare ma senza sicurezza mi ha trasportato per così poco tempo che non ho
memoria di quella targa, periodo di meteore, alla Diane, uccisa, subito appena
venduta, da un ragazzino implume,  è
seguita la Rover 2000 benzina, anch’essa senza targa ma con un corposo odore di
gas, era già morta, uccisa dalla mia incompetente ignoranza e dalla mia
assoluta abitudine  a comprare subito e
sempre quello che mi piace.

Poi da 4 ruote sono passato a due, inizialmente per
combattere un capo che violava le più elementari regole di fiducia, di onestà e
di logica, regalandomi per ogni paga virtuale un futuro pieno di amare
delusioni. Un Katana 550 cc, il Suzuki per eccellenza, dove cadere da fermi era
tanto normale quanto essere sicuri su strada, la Sassari Tempio mi ha regalato
la velocità più folle mai raggiunta in moto, e una fredda consapevolezza che
morire su strada è più semplice che mandare a quel paese gli amici.

Nella scelta dell’estetica sono passato alla peggiore delle
Y10, color verde economico, un 1100 di cui, come succederà da allora, ho voluto
dimenticare targa e percorsi, posteggi e vie, semafori e distributori. Piccola
ma scattante, io, ancora giovane, avevo imparato finalmente a gestire
meccaniche complesse e meccaniche semplici, vecchi rodaggi ora inutili
rendevano sicure nel tempo le macchine, eliminando le sorprese, quella fu la
mia prima macchina nuova, senza vecchi burattini di legno da bruciare per
eliminare odori di vecchie guide e abitudini, vergine, mia. La macchina del
passaggio mal ripagato ad una vita non voluta nei termini in cui è stata,
macchina lasciata, abbandonata, in un contesto inutile e vergognoso.

Insieme a tante targhe, un Vespone Piaggio 200, anima libera,
serenità di un periodo normale, diventato gabbia di scelte violente, diventato
diverso, come soffiato dal lupo cattivo nella prima casetta di paglia, un Vespone
lasciato in un metallico garage, come a voler lasciare in quella targa, sotto
quelle due ruote, una strada sbagliata presa ad un incrocio senza cartelli.

Il tempo degli Station Wagon, tappa obbligatoria in una
famiglia pre costituita, la nuova Ford Escort 1600 cc 16 valvole ha fatto il
suo percorso, che, iniziato in centro città è finito nel cantiere di una
campagna assassina, AR 977 AR la targa provvisoria caduta chissà in quale curva
a causa di note vicissitudine stradali fangose, colme di buche, una macchina
che dal profumo di nuovo ha acquistato odore di cantiere, di cemento e benzina,
di terra e piante, senza pianti. Una macchina il cui motore si è arreso di
schianto urlando nell’ultimo istante tutta la rabbia che aveva dentro.

Da normale ad eccesso, in un difetto unico, due Smart, due
posti, una nuova condizione, io e una figlia, senza più nessuno, senza più
terzi incomodi, così per anni, così per almeno 150.000 chilometri di strada con
l’unico posteggio, quello della ricerca di una normalità mai raggiunta, di una
serenità mai vista dalla coffa di una nave senza porto, con nebbia a tratti,
nebbia fitta. Due targhe che ben ricordo, come ricordo gli occhi attenti di una
bambina su sedili gialli che cercava una normalità che non potevo offrirle, che
non sapevo dove trovare, persa nella fiducia della gente, persa da sempre. Ho
ripreso allora, dopo anni, un pianto interrotto in gioventù, liberandomi
finalmente da bugie di altri, e regalandomi solo estreme verità, a discapito di
serenità, spesso finte. Due posti e il tentativo di una famiglia allargata,
senza spazio, due posti e una Gallura lontana, attrazione fatale, riproposta
dopo anni in contesti differenti, ma sempre eterno paradiso terrestre.

Un nuovo mondo, EP886RR la nuova esperienza, sempre nella
stravaganza di guidare qualcosa di diverso, un Juke definito da mia madre
macchina dei cartoni animati, nuovo e soddisfacente, un passaggio obbligato
dopo dieci anni di ruote piccole, un 1600 benzina morbido, agile e sicuro, oggi
sono al volante, il domani non è importante, il passato lo ho voluto fermare ma
senza rimpianti, oggi ho questa targa.

Accendo, parto.

Cesare

2 Dicembre 2016

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