L’arpa

L’arpa

Era seduta su un bellissimo sgabello di salice, aveva lunghi boccoli biondi, ed un profilo perfetto, che sfiorava lievemente la cassa di risonanza dell’arpa, anch’essa in salice, un bellissimo salice nero, la sua guancia destra vibrava in un contesto unico insieme al suo respiro, occhi neri intensissimi che si socchiudevano quando i suoni diventavano più alti, ma sempre dolcissimi, mentre quando la cadenza delle note si abbassava di qualche semitono i suoi occhi si aprivano come per guardare la musica che le braccia e le dita riuscivano a tirare magicamente fuori da quell’antico strumento. Un orchestra essenziale ma completa, era il suo ultimo concerto, aveva deciso di abbandonare quello stile di vita, era troppo grande lo sforzo fisico che subiva ed era terribilmente triste, dentro si sentiva morire, e non voleva, le regole di quel gioco erano un massacro, il pubblico ascoltava passivamente e sembrava essere presente solo per moda, non per interesse. Aveva deciso per un orchestra di quaranta strumenti, il suo ultimo capolavoro doveva essere perfetto, aveva personalmente selezionato archi, ottoni e percussioni, la sua composizione era inedita, quel giorno voleva stupire prima di tutto se stessa, trovando il coraggio di azzardare, e, come se a tutti fosse chiarissimo, nessuno faceva errori. Quando lei chiudeva gli occhi piangeva per quella scelta, ma continuava a suonare sempre più dolcemente, riuscendo a contrastare la nota diatonicità dello strumento come se fosse un’arpa doppia. Nonostante il salice fosse chiaramente irlandese, l’arpa era una bellissima Morley costruita in Gran Bretagna, che lei acquistò anni addietro, il giorno dopo il matrimonio, il suo sposo era un locandiere, stava tutto il giorno alla locanda e spesso anche la notte, un uomo robusto e peloso, che odorava di maschio, gli piacque per la sicurezza che trasmetteva, si sposò in fretta, aveva quindici anni e i suoi genitori si liberarono dell’ennesima figlia che mai avrebbero potuto sfamare. Imparò in casa a suonare l’arpa, da sola, ricordando a memoria le suonate che aveva sentito da piccola. Il suo vestito, impeccabile, era stato confezionato dalla sua nonna, bianco, candido, con delle striature rosse molto sbiadite, quasi eleganti. Un atto unico, irripetibile, e fu al culmine del concerto che calò il sipario, quando di colpo si aprì la porta di casa, lei urlò la sua paura, gettò per terra lo stenditoio e si irrigidì indietreggiando fino ad arrivare al muro, il marito, ubriaco, le si avvicinò e le diede l’ennesimo ceffone, evidenziando il livido del precedente, il pubblico sparì, ma nelle sue mani delicate comparve un coltello che sparì in un istante, con una velocità impressionante, nel corpo del marito che, cadendo in terra, rigurgitò, meravigliato. Il suo cuore cedette di schianto Un rivolo di sangue colò dalla smorfia di dolore della ragazza, andando ad aggiungersi agli altri, più sbiaditi, le tremavano le gambe ma non poteva sedersi a piangere accanto alla morte, allora si strappò il vestito di dosso, ricoprendo il corpo male odorante del suo aguzzino, si sedette sul suo fantastico sgabello di salice, riprese la sua arpa, e iniziò a suonare, da sola, tutta la sua liberazione. Fu quello il più bel concerto della sua vita.

Cesare

14 Dicembre 2016

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