Il referendum

​Il referendum

-Ah no, guarda che io sono coerente, non cambio idea ad ogni alito di
vento, nemmeno ad ogni morte di papa direi.-

Quel personaggio apparentemente così sicuro di se e del suo pensiero era
alto, robusto e ben vestito, mi sovrastava di una decina di centimetri e di
almeno una ventina di chili di muscoli nervosi, ben nascosti da una giacca
lucida, molto chiara, pulitissima. La nostra discussione era iniziata mezz’ora
prima, in fila al sussidio dei poveri, spesso l’apparenza inganna e il malcelato
disagio si azzera quando, tutti insieme, necessitiamo di un sostentamento
reale, non fatto solo di parole inutili che non riempiono lo stomaco, ma
anzi, lo fanno rigirare dolorosamente. Il personaggio con la giacca era dietro
me, erano le quattro e mezza del mattino, un separé costruito appositamente per
la nostra privacy ci nascondeva dai primi autoveicoli, gente che andava a
lavorare lontano, gente che macinava chilometri in macchina per un lavoro che
serviva solo per pagare la benzina e un affitto di una casa che sfruttavano
ben poco, visto che lavoravano tutto il giorno, ma almeno, loro, un lavoro lo
avevano. Anche il personaggio era sulla cinquantina, molto rigido ma in realtà
rassegnato, iniziò lui la discussione probabilmente per combattere l’umidità di
quel giorno o la noia o, più probabilmente, per non piangere in quella
situazione nella quale, si vedeva chiaramente, era costretto non per causa sua, forse, io
invece ero li solo ed esclusivamente a causa mia, alcool, droga e donne mi
avevano devastato negli anni, la mia economia ridotta da una compulsiva vita
che tendeva regolarmente ad annientare i miei sensi di colpa per quanto avevo
fatto in gioventù, ma lui no, lui era una vittima di altri, non un carnefice
di se stesso, come me. La discussione era comunque piacevole e in toni
moderati, la distribuzione di beni e vivande sarebbe iniziata verso le sette
del mattino, c’era tempo, il referendum imminente in quell’ambiente di nulla,
in quell’ambiente di una comunicazione umida e polverosa era una rara
occasione per riuscire a credere di essere ancora nel mondo, anche se, in
realtà, erano pochissime le persone che avrebbero votato e ancora di meno
quelle che ne avevano mantenuto i diritti, io e lui si, avremo potuto votare.
Sarebbe stato semplice, un si o un no, la discussione allargava nuovi e vari
punti di vista, con una rara educazione per quel contesto le parole
svilupparono la realtà globale di quei pro e quei contro che venivano proposti
da quel referendum. Entrambi rimanevamo sulla nostra posizione, entrambi
rispettavamo, magari senza condividerla, l’idea dell’altro. Più avanti nella
fila e più indietro in ordine di arrivo, ognuno cercava di intervenire, ma come
spesso accadeva ognuno dava contro ad un governo e ognuno accreditava le
cause della propria rovina proprio al governo, ai governi, che in decine di legislature
avevano fatto prima barcollare, poi tracollare un economia che già globalmente
era fragile, allora le discussioni sull’abbandono di una nave che sta
affondando o idee di sbarchi in paradisi terrestri dove si sarebbe vissuto di
pesca, con un ideale compagno o compagna, perché tanto, noi, adesso, non
abbiamo più nessuno a cui pensare, nulla ci trattiene in questo stato che i
propri figli li fa figliastri della peggiore puttana, che genera miseria a
oltranza, senza curarsi di portare avanti una selezione naturalmente evolutiva.
Le voci comunque aumentavano e i vapori che uscivano dalle bocche che avevano
ancora un po’ di calore da regalare a quella mattina fredda e umida sembravano
quelli di sigarette senza filtro, ma nessuno aveva sigarette, alcuni qualche
mozzicone, altri solo la tosse di una malattia, altri quella del fumo, ognuno
comunque cercava di far valere le proprie verità, chi per il si, chi per il no,
chissà perché io e il personaggio catalizzavamo l’attenzione come se fossimo
noi in grado di decidere a chi consegnare la coperta più calda e più bella, o
il pezzo di carne più morbido e saporito, quindi di conseguenza gli sguardi
ammiccanti come a far capire a me o al mio interlocutore principale che la
ragione stava in quell’ultima frase, magari sottintesa, magari ambigua e detta
con una punta di sarcasmo, ma ognuno si schierava da una parte o dall’altra,
inutilmente. Si arrivò anche ad urlare, ma nella massima educazione e si inveì
contro il sistema, la disattenzione di chi non ha idea di ogni singola realtà,
ovviamente il banale imperava in quelle discussioni di menti logorate,
stanche anche se temprate, due ore diverse e piacevoli, io e quel personaggio
siamo diventati per quel tempo importanti, avremo da quel giorno avuto voce in
capitolo per quella gente che, in quella miserabile fila, avesse cercato una risposta,
o offerto in regalo la domanda giusta, perché dietro quel separè
eravamo tutti uguali, molti più uguali di altri.

Arrivò l’ora della distribuzione, un cupo personaggio, mai visto, faceva
girare le chiavi ben note e tutti del lucchetto di quella griglia che era la
barriera tra il freddo e la fame e i vestiti e il cibo, quel personaggio con
uno scuro cappello in testa ci guardava distrattamente, la prima della fila,
una vecchia logora nell’animo meno di quanto lo fosse nell’aspetto, chiese che
cosa stesse succedendo e perché questo ritardo, chiese dove fosse la nostra suora
preferita, quella che conosceva ogni singola situazione e che avrebbe assegnato
equamente ogni singolo pezzo, ogni singola scatoletta, il personaggio guardava
regolarmente la strada fino a che sembrò rassicurarsi all’arrivo di una
macchina delle forze dell’ordine. Dalla quale scesero tre uomini in divisa,
armati, assonnati, seccati.

L’uomo col cappello e le chiavi del nostro paradiso si rivolse, scortato
ormai da due degli agenti in divisa, alla vecchia che aveva tante domande, e
poca voglia di risposte sbagliate, dicendole:

-Da oggi è abolito ufficialmente il servizio di sussidio materiale per i
bisognosi, da oggi dovete cercare di sostentarvi in autonomia, da oggi dovete
cercare un lavoro, una casa e una sistemazione.-

Eravamo tanti, chi, come me e pochi altri sentì quelle parole come fossero
una sentenza, in un brivido domandammo con gli occhi, nel rispetto delle forze
dell’ordine a quel personaggio scuro, vestito di scuro, con uno scuro
cappello, il perché stesse succedendo tutto questo, lui rispose:

-Il mese scorso ci sono state le votazioni, il referendum insomma, hanno
vinto quelli che hanno cancellato anche i vostri privilegi, dispiaciuto, vi
chiedo comunque di sgombrare la via, la strada e di sciogliere questa
assemblea immediatamente.-

Io guardai la vecchina, prima della fila, poi mi girai verso il personaggio
in giacca, la nostra convinzione di essere ancora in un possibile circolo del
sapere crollò, io ero miseramente assimilato nel sistema del nulla e i miei
vestiti, il mio alito, la mia miseria sposava bene il mio stato, peggio si
trovò quel personaggio, la cui anacronistica giacca sembrò scolorirsi alla
triste consapevolezza di non essere più.

Tutti da quel giorno cercammo, stringendoci l’un l’altro, in una nuova
consapevolezza, in un nuovo mondo, in una nuova realtà, come se nulla fosse mai
accaduto, come se il passato servisse solo al presente, di diventare la stessa
gente.

Disintegrata dal vecchio sistema, integrata nel vecchio sistema.

Cesare

23  Novembre 2016

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