Alice

Alice

È successo proprio così, due
si incontrano, e si piacciono, una lei e un lui, una lei anziana, direi sugli
ottanta anni, vergine e spiantata, brutta, bruttissima, lui invece un giovane
rampollo figlio di nessun problema e con tasche colme di carte di credito,
trenta, massimo trentuno anni, bello, almeno nei canoni della vecchia, lui
infatti le ricorda il suo primo spasimante, sessantadue anni prima. Lei ha dei
vestiti lisi, rattoppati con cura e amore, all’interno, nulla traspare di
quelle cuciture riparatrici, figlie di una vergognosa economia, le sue scarpe,
color celeste pastello, si intonano con il suo colletto, colletto di una maglia
antica, non ereditata di sicuro, ma antica, risalente probabilmente a un tempo
in cui non era così brutta, bruttissima, in realtà il suo specchio, che la
conosce da sempre, la considera ancora molto bella, ha dei duri lineamenti, si,
ma due occhi di una dolcezza estrema, incavati nella forma di un viso
leggermente distorta, probabilmente un ictus avuto qualche tempo prima, qualche
grosso neo che in gioventù doveva essere un morbido segnale per distogliere gli
sguardi da tanta semplice e lineare bellezza, e dei capelli veri, gialli e
bianchi, e grigi, ma puliti, raccolti malamente in un mogno tenuto fermo solo
dalla maestria di mani esperte. Lei emana un leggero profumo di lavanda,
piacevole per lui, al contrario dei soliti profumi a cui era abituato, inutili
e costosissime fragranze di chissà quale estratto di quale verdura. Lui ha una
polo di marca, in lino, e dei leggerissimo pantaloni, sempre di costoso lino,
senza calze ma con delle comode scarpe da barca, un po’ sportive un po’
classiche, un orologio, molto costoso, regalo per la sua terza laurea, regalo
della zia che mai conobbe, in quanto oltre mare, partita per fare fortuna anni
e anni addietro, ma che nemmeno tramite internet aveva mai rintracciato,
l’orologio era molto educato, non pacchiano, e lui non aveva  certamente la tendenza a ostentarlo, il suo
viso era rasato, si vedeva che si rasava regolarmente, non aveva il viso di chi
si lasciava crescere la barba classica dei tre giorni, un viso semplice, ma
accattivante, eh si, a lei ricordava il suo primo spasimante, era davvero molto
simile. Il marciapiede conteneva entrambi, vicino a quell’incrocio, lei, appena
arrivata in città, da molto lontano, avrebbe cercato un posto pubblico per
sistemarsi alla meglio, aveva un importante appuntamento, lui,
organizzatissimo, non lasciava a nessuno compiti importanti quali l’organizzazione
del suo ennesimo evento, la beneficenza. Nel sorriso di lui che la guarda c’è
qualcosa di caldo e dolce, lei quasi imbarazzata si chiede, osservandolo,
inibita da tanta bellezza, come sarebbe cambiata la sua vita se tanti anni prima
avesse dato al suo spasimante le chiavi del suo cuore, e, cercando di unire
passato e presente, azzardò un sorriso al giovanotto. Successe tutto in un
attimo, lei lacrimò, lacrime ovattate, e le si svuotò la mente di tutto, lui
vedendo che stava per svenire la abbracciò e la sorresse, accompagnandola in
quella panchina grigia, il cui grigio era simile ai capelli della vecchia
signora, vergine e bruttissima. Lui corse, dopo essersi assicurato che lei non
fosse in grave pericolo, a prenderle dell’acqua fresca, e con un gesto da
navigato ed esperto medico, infermiere, volontario, glielo porse. Lei, dopo
aver bevuto lentamente gli disse: -Tu devi essere un angelo, grazie, di cuore,
sono nuova di qua, e stanca da un lungo viaggio, chissà cosa mi è successo, ma
adesso vai, sono sicura ch ti aspetta qualcosa di importante, non voglio farti
perdere altro tempo, sto meglio, molto meglio adesso.-

Lui, al contrario, si accomodò
meglio sulla panchina, e le disse anche che se non si fosse offesa, la avrebbe
ospitata in una delle sue tenute, fino a che non avesse risolto qualunque cosa
avesse da risolvere in città. Lei, fiera e all’antica, rifiutò categoricamente,
e prese la sua mano, la strinse a se, e ringraziandolo si alzò in piedi e andò
via, senza nemmeno sapere in quale direzione. Lui in quel gesto riuscì
velocemente a sfilarsi l’orologio e senza che lei se ne accorgesse lo lasciò
scivolare nella tasca ben cucita del suo vestito, la guardò andare via e tornò
alle sue cose, peccato, le piaceva quella vecchia che profumava di lavanda, c’era
in lei qualcosa che non riusciva a definire, ma ora era andata, poteva
solamente tenerne un ricordo semplice e pulito.

Quella sera, l’inaugurazione
di una nuova struttura ospedaliera, specializzata in ictus, era l’evento del
giorno in quella città, grande ma piccola, antica ma moderna, il giovane ragazzo
di lino vestito aveva donato, ancora una volta, una struttura a quella città,
le sue fortune risalivano a tanti anni prima, esattamente alla sua terza
laurea, quell’orologio regalatole dalla zia sembrava fosse il suo portafortuna,
ma lo aveva appena regalato, sicuro che fosse si un oggetto, ma che potesse
fare più comodo alla vecchia incontrata la mattina. La struttura aveva deciso
di chiamarla con il nome della zia, quella zia mai conosciuta che probabilmente
aveva dato la spinta giusta alla sua vita, ‘Casa Alice’ gli sembrò un ottimo
nome, era emozionato, mancavano pochi minuto al taglio del nastro.

Lei era dietro l’angolo,
sapeva che il suo nipote prediletto, quello che però diventò la sua rovina,
stava per avere un altro successo, regalando ancora a quella sua vecchia città,
dimenticata nei lineamenti ma non nel cuore, una nuova struttura che forse
avrebbe potuto salvarle la vita. Anni prima, sola, ma fiera e degna del suo
lavoro da sarta, si ritrovò in difficoltà economiche, ma doveva assolutamente
regalare qualcosa al suo nipote, per l’acquisto di quell’orologio fu costretta
a chiedere un prestito alle persone sbagliate, senza mai più riprendersi
economicamente, scappò per l’ennesima volta, ma le lunghe braccia della
malavita la ritrovarono sempre, e sempre pretesero qualcosa. Doveva  vedere il nipote.

Lei girò l’angolo, e vide il
taglio del nastro, il suo amato nipote era quello di spalle, un doppiopetto
blu, una cravatta celeste pastello, un bel taglio di capelli e nessun profumo,
e nessun orologio al polso. Lui dopo aver visto il nastro svolazzare ai lati,
fece il primo passo oltre linea ormai immaginaria, e si girò. Lai in quell’istante
mise la mano in tasca, sentì qualcosa e la tirò fuori, era l’orologio, quell’orologio
che regalò anni prima al nipote, ed eccolo, il nipote, che contemporaneamente
realizzò, vedendo la vecchia con il suo orologio, che non poteva che essere
Alice, la zia di sempre, la riconobbe dalle sue lacrime, la riconobbe da come
teneva il suo orologio, lui si avvicinò, e come se mai potesse essere smentito,
la chiamò per nome: -Zia Alice, io non avrei mai sperato di vederla, ma la
ringrazio per tutta la mia vita, ed ora questa struttura ha un senso, te la
offro, non può che essere tua. Grazie, grazie di cuore.-

-Figliuolo, ho aspettato una
vita, ho aspettato due vite, la mia  e la
tua, ed ora è come se tutto finalmente abbia un senso, grazie a te figliuolo
mio caro, tuo padre sarebbe fiero di te.-

I due si abbracciarono, lui
non riuscì a dare mai del tu alla zia, non aveva mai pensato di farlo, mentre
lei lo aveva sempre chiamato, nei suoi lunghi silenzi, figliuolo. In quell’abbraccio
poche lacrime, ma vere.

Cesare

16 Novembre 2016

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